venerdì 5 novembre 2010

La malattia di Pappa

 Dai dai a forza di ‘amminà in dell’acqua e ‘n der fango ‘on le scarpe rotte è successo vello ‘he doveva succede! L’altra mattina mi sono svegliato ‘on ‘n dolore in der groppone ‘he un potevo respirà. Lì per lì mi ‘redevo ‘he dipendesse pe’ dormi’ su ‘n d’una parte, (e se tanto e dormo in delle piume!) ma poi vando mi so’ messo er termometro e ho visto la febbre a 38 ho capito ‘he c’era er male. Deh! Un ti po’ immaginà la mi’ moglie. – Lo vedi a andà in de bozzi! – diceva mentre mi stropicciava ‘on la trementina. Poi siccome er dolore un mi passava principiò a farmi impiastri e panni ‘ardi, macchè invece di diminui’ aumentava.
- Ho chiama er dottore! – disse doppo ‘he io ni respinsi la proposta di fammi ‘n cristeri.
- Ce l’hai cento ‘avie?
- E chi me le dà! O un siei in della mutua?!
- On lo sai se unne ne snoccioli in sur tamburo vello un ti ci viene.
- Bè ragionamento se uno un ce l’ha bisogna ‘he schianti, e ora ‘ome si fa? – disse guardandomi ‘on du occhi ‘ome se fusse ‘orpa mia.
- Fatti prestà dugento lire da vella di du’ piani – ni risposi tutto in du’ fiato.
- Ma te se’ scemo! Ni devo rende sempre le trecento lire ‘he mi prestò pe’ pagà la luce.
Io ‘aro «Martello» un sapevo ‘osa dinni, poi mi venne un’idea pe’ la testa ma unn’ebbi ‘r core di dinnene.
Ma er dolore aumentava, e di fronte ar male mi feci ‘oraggio e ni dissi: – O Argene en c’è nulla da mette ar monte? – Deh! unne n’avesse ma’ detto!
- Ar monte?! Ma coa ci devo mette’? Se ti levo e lenzoli di su letto ‘ome dormi? E poi deh! e sono anco bellini! E se tanto e ti c’è ‘na toppa!
Insomma a son di discute e ragionà e ti prese ‘na decisione ‘he un l’avrei ma’ ‘reduta ‘apace. Si levò la ‘appa da dosso e la portò in via Borra.
- A ‘apito centocinquanta lire ci hanno dato! – mi disse vando ritornò, e sventolando la polizza ‘ome ‘n trofeo mi disse anco che fra poi minuti sarebbe arrivato er dottore. E difatti all’undici venne. Dopo avemmi mantrugiato davanti e di dietro, fatto tossì sette o otto vorte e di’ pe’ lo meno una diecina di vorte trentatré mi disse ‘he avevo la peora infiammata. Mi segnò un fottio di robba: ponture, prese, mucillaggine sopra una ricetta ‘he dovevo o pagalla subito, o andare alla Mutua a falla timbrà se la volevo piglia’ senza vaini.
Ora siccome e vorse centocinquanta lire e io ero rimasto senza un citto e… fu gioo forza ‘he la mi moglie ci andasse. Andò via alle due, lo sai a che ora tornò? Alle sette! E io a patì in de letto, quando venne ero doventato fioo da urlà.
- Ho fatto la fila ‘apisci. E ne dicevo, e ce er mi marito ‘on la peorite, fatemi passà! Era come di’ ar muro, tutti erano in delle identie ‘ondizioni. E buttando la robba in sulla ‘omodina ne disse vanto Dio ne volle.
Ora ‘aro «Martello» sto bene, ma a costo di ‘amminà in su ‘rampoli voglio tenè e piedi asciutti, unnè tanto per er male ‘ome quando se ti ‘apita disgrazia e te un ci ha vaini.
Però ti voglio di’ che unne una ‘osa giusta paga’ er dottore ar momento della visita, fin tanti ‘he ci sono tarabaralla! Ma vando un c’enno ‘ome fai. È vero ‘he doppo sette o otto giorni te ne rendono… la metà ma ‘osa te ne fai se vello li vole subbito?! O le medicine? Se t’ammali – ammetti er caso – di sabato sera verso le sette, dove vai a falla timbrà se la Mutua fino a lunedì è chiusa? A’ voglia di morì! Mia sempre ci po’ ave’ la robba da mette ar monte, o di fatti prestà vaini, questa è na ‘osa ‘he va rimediata, e alla sverta. S’è fatto tante agitazioni in cantieri ma pe’ la Mutua nemmeno una, arriordati ‘aro «Martello» che ‘n si more sortanto di fame, è più facile invece di crepà d’una malattia anco se da principio e ti sembra una ‘osa da nhulla. Ora ‘ome ti ripeto, sto bene, e toccando ferro ti saluto e ti stringo… er manio
Tuo amio Pappa.

21 dicembre 1946

giovedì 7 ottobre 2010

"Pappa" Urano Sarti - Biografia

Fondatore e redattore de “Il Martello”, uno dei più importanti giornali di fabbrica del dopoguerra
Urano Sarti, lo scrittore operaio del Cantiere Orlando
“Pappa” autore di “Livorno città aperta”, unico romanzo interamente in vernacolo.
Urano Sarti, universalmente noto col nomignolo di “Pappa”, nasce a Pontassieve, in provincia di Firenze , il 10 agosto 1907 e si trasferisce a Livorno alla giovane età di 15 anni. Come la stragrande maggioranza dei coetanei, la sua cultura di base si limita alla quinta elementare tuttavia, da caparbio autodidatta, s‟interessa di qualsiasi argomento culturale e, allargando i propri orizzonti, finisce per scrivere perfino su importanti testate nazionali quali “L‟Unità” e “La Gazzetta”. Assunto, giovanissimo, come operaio specializzato presso il Cantiere Navale Luigi Orlando, Pappa è artefice, con Ferruccio Petroni e Pietro Tei, della fondazione del giornale “Il Martello” dai più ritenuto una delle riviste di fabbrica più importanti del Paese.
Nel frattempo attinge dalla suocera i segreti del vernacolo, come ripeteva frequentemente lui stesso, attraverso i quali esprime, proprio su “Il Martello”, i propri pensieri sulle vicende di fabbrica e sulla quotidianità della famiglia popolana livornese in racconti sarcastici tuttavia estremamente reali ed attuali. Ogni vicenda, vissuta e raccontata rigorosamente in prima persona, ha per protagonista Argene la fedele compagna (Eleonora Elviettini, nella vita) e rispecchia fedelmente la realtà povera in cui la famiglia è costretta a barcamenarsi per tirare a campare fino alla fine del mese, accudendo la bellezza di nove figli, due femmine e sette maschi, con il misero stipendio di un operaio, ancorché specializzato, nell‟angoscioso dopo guerra. Tra il 1948 ed il ‟49, Urano Sarti si dedica alla stesura di “Livorno città aperta”, un vero e proprio romanzo completamente in vernacolo livornese, ispirandosi al rientro in città delle genti livornesi reduci dallo sfollamento a cui erano state obbligate dall‟incombere dei bombardamenti che rasero quasi al suolo la nostra bella città.
Le famiglie protagoniste dell‟intreccio sono profondamente legate da un sentimento di amicizia vera, al punto da accettare senza esitazioni di condividere i resti dell‟appartamento di via Grande. Il legame, sul principio inossidabile, viene irrimediabilmente compromesso dai loschi affari intrapresi da uno dei due capifamiglia con gli alleati d‟oltreoceano e sfocerà in una parete divisoria che verrà eretta esattamente al centro dell‟appartamento un tempo entusiasticamente spartito. Maso, il meno onesto dei due, antepone i propri equivoci interessi a quella che una volta sembrava un‟indissolubile amicizia e si adegua presto alla nuova realtà di benestante che lo porterà a rifiutare qualsiasi contatto con i più onesti ancorché modesti coinquilini.
Purtroppo le copie originali del romanzo, unico nel suo genere, sono ormai rarissime e paiono al momento vani i tentativi degli eredi di Pappa, in particolare il nipote Mirko, di promuovere la riedizione di un lavoro che rappresenta uno spaccato di Livorno nell‟immediato dopoguerra, una città ancora drammaticamente segnata dagli orrori dei bombardamenti da ricostruire a partire dalle radici; perché se dal punto di vista puramente materialistico la ricostruzione delle abitazioni ed il ripristino dei posti di lavoro rappresentano le necessità più impellenti, senza cui è impossibile ripartire, la
ricomposizione dei rapporti umani, inevitabilmente minati dalle recentissime vicende belliche, diventa una necessità ancor più prioritaria.
Nella spontaneità dei racconti pubblicati su “Il Martello”, si riconosce colui che qualcuno ha definito il “De Filippo di Livorno” capace di offrire una rappresentazione esatta della realtà, figlia di una fervida inventiva capace d‟ironizzare su ogni difficoltà. Nella descrizione delle vicissitudini di una famiglia dei quartieri popolari, Sarti descrive la propria famiglia e nei racconti sul Cantiere, lui stesso ed i propri compagni di lavoro sono i veri protagonisti. Emerge la coscienza sociale della classe operaia che lavorava per far crescere il proprio posto di lavoro in prospettiva della crescita della città tutta; gli scioperi per un licenziamento potevano durare un mese al termine del quale gli operai, già in difficoltà con le paghe ridotte al lumicino, non vedevano una lira e si trovavano costretti a stringere una cinghia già di per se stretta oltremisura. La solidarietà della comunità livornese si ritrovava in tutte le botteghe che vendevano a credito, non ce n‟era una che non lo facesse, e nel mettere a disposizione della comunità stessa ogni tipo di approvvigionamento disponibile, ancorché limitato.
E proprio quelle quotidiane vicissitudini danno origine ai racconti del Sarti: i prestiti (in denaro o in generi di prima necessità) tra famiglie del palazzo, le dugent‟ore, le elargizioni di “mezz‟etto di zucchero e du‟ etti di pasta” da parte della Cooperativa del Cantiere, il primo maggio all‟archi del Cisternino, la bomba sul rifugio, Ceppo, il furto delle “sarcicce… e que‟ ragazzi lassù patiscano la fame” e tutti gli episodi di vita quotidiana. Gli scritti di Pappa erano strettamente connessi alle problematiche dei lavoratori, puntualmente riversati nella realtà cittadina e costantemente proiettati a difesa di valori morali e culturali che la recente guerra aveva pressoché distrutto. Esilaranti, poi, i celebri dialoghi tra sordi in cui ognuno dei protagonisti della conversazione parla di un proprio argomento puntualmente frainteso dall‟interlocutore che, a sua volta, risponde con discorsi di significato completamente opposto: “…Bravo! Evviva la pace! – Macchè brace, io adopro „r pipigasse – Le tasse?? Bella robba!...” e così via.
Eppure nei lavori di “Pappa” mai si cade nella malignità, nelle inutili cattiverie o nella volgarità, a conferma di un‟arguzia vernacolare generata dalla più alta ispirazione. Un‟unica stravaganza nel modo di scrivere di Urano Sarti: usava spesso la “elle” al posto della “erre” cosicché Livorno diveniva “Livolno”, intorno si leggeva “intolno”, guardare si trasformava in “gualdare”.
Difficile dare una giustificazione a quel vezzo; magari erano semplicemente le sfaccettature della parlata di un certo rione oppure, come asseriva Gino Lena il quale, pur grande estimatore di “Pappa”, si trovò a contraddirlo nell‟utilizzo di certe interpretazioni, a suo dire generate dalla distorsione di qualche borghese che ha voluto elaborare il linguaggio pur non avendo vissuto a stretto contatto con il popolo.
Urano Sarti si è spento il 27 aprile del 1960 a soli 57 anni, letteralmente consunto da una penosa malattia. Si racconta che Pietro Tei, in visita all‟ospedale la sera prima del decesso, abbia trovato da ridire sull‟ennesimo scorcio di sigaretta che Sarti stava fumando (fra l‟altro egli era uso fumare la cicca, rigorosamente senza filtro, fino al limite estremo, correndo il rischio di ustionarsi le dita) e che il malato gli abbia prontamente risposto: “È la licenza der Pagani, ce n‟ho per oggi e per domani”.
L‟indomani morì: umorismo ed ironia fino allo stremo delle forze.
Per concludere, un doveroso omaggio ricordando la formula che Urano Sarti usava per chiudere i propri racconti: “E ora, caro Martello, ti saluto e ti stringo… er mani‟o… tuo ami‟one…”
Ermanno Volterrani